top of page
20220825_103623.jpg

La Spina Com'era.

Abbiamo potuto vedere, esposto nello stand d’una galleria cittadina alla recente mostra del libro e della stampa antica allestita alla “Leopolda” un singolare alabastro, con apposta la firma di Enrico Van Lint e la data 1865, riproducente l’oratorio di S. Maria della Spina pochi anni prima della sua demolizione. L’opera si rivela condotta con grande perizia, è una “riduzione geometrica”, vale a dire accuratamente misurata sull’originale e quindi attestante con esattezza la forma che questo monumento aveva in origine e che s’era mantenuta fino agli anni settanta dell’800.

La lavorazione dell’alabastro a Pisa risale ai primi anni dell’800 quando Michele Van Lint, che per più di vent'anni aveva diretto la scuola di scultura di Volterra - dove fra gli altri ebbe come allievo giovanissimo Lorenzo Bartolini - si stabilì a Pisa impiantandovi il primo laboratorio. A lui, e specialmente a suo figlio Enrico si debbono le prime riproduzioni in alabastro dei principali
monumenti cittadini, poi largamente imitate.

Il confronto del modellino in alabastro con la forma attuale dell’oratorio è sorprendente, consente di valutare esattamente la profonda discontinuità fra l’edificio del Trecento e l’edificio dell’Ottocento, e invita a considerare come sia stato possibile travisare a tal punto lo spirito originario d’una architettura, sostituendo al suo posto una copia fredda e infedele, ispirata alla
medesima idea di “ordine” e di “decoro” urbano che contemporaneamente presiedette al concepimento dell’uniforme muro di laterizio che cancellò ogni segno del rapporto secolare della città con il suo fiume.

Fu appunto a seguito della ristrutturazione del lungarno realizzata dal Simonelli, che la Spina fu
demolita pietra per pietra e ricostruita con nuovi materiali perpetrando uno dei peggiori misfatti artistici del secolo. Spiriti eletti, come Giuseppe Martelli e John Ruskin invano si opposero allo scempio, Martelli scrivendo nella sua relazione che la Spina, “rifatta a nuovo diverrebbe rispetto all’arte cosa moderna di ben poca importanza” e Ruskin affrettandosi a disegnare alcuni particolari architettonici per le sue lezioni a Oxford prima che fossero distrutti, e apostrofando i demolitori:
“non vi rendete conto che gli Austriaci non hanno mai fatto tanti danni all’Italia quanto voi altri
state facendo ora, con i vostri scalpelli e mazzuoli?” L’operazione restituì un edificio solo lontanamente simile all’originale: ebbe infatti cambiato il colore perchè al marmo di san Giuliano fu sostituito il marmo di Carrara, più bianco; ebbe modificata la forma complessiva, perchè fu rialzato di circa un metro nell’intento di accentuarne la goticità; i fregi furono in buona parte sostituiti, le sculture raschiate sistematicamente; la piccola abside trecentesca aggettante sul fiume fu eliminata perchè “alterava le linee originali” dell’edificio.

 

A mio ricordo, sono soltanto due i documenti che raffigurano integralmente la sagrestia prima della sua soppressione: oltre a un disegno della signorina de La Morinière, questo intaglio in alabastro. Di qui, al di là del suo evidente interesse artistico, la sua importanza testimoniale.

Prof. Emilio Tolaini

Foto sx: Foto antica in albumina, coeva alla scultura del Vanlint 1862 )

20220825_101617_edited.jpg
20220825_101920_edited.jpg
20220825_101800_edited.jpg
20220825_101632_edited.jpg
20220825_101908.jpg
20220825_101705.jpg
20220825_101655_edited.jpg
20220825_101857_edited.jpg
bottom of page